INCOLUMITA' PUBBLICA - REATI - Cass. pen. Sez. IV, 08-11-2017, n. 51734

INCOLUMITA' PUBBLICA - REATI - Cass. pen. Sez. IV, 08-11-2017, n. 51734

In tema di reati contro l'incolumità pubblica, il discrimine tra il delitto di cui all'art. 434 c.p. e la contravvenzione citata va rinvenuto nella presenza - nella fattispecie delittuosa - di un pericolo per la pubblica incolumità, derivante dal diffondersi del crollo della costruzione (o di parte di essa) nello spazio circostante, dalla potenza espansiva, cioè, del nocumento unitamente alla sua attitudine ad esporre al pericolo un numero indeterminato di persone, per la configurabilità del quale, è necessario un evento straordinariamente grave e complesso, ma non eccezionalmente immane.Cass. pen. Sez. IV, 08-11-2017, n. 51734

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente -

Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere -

Dott. TANGA Antonio - Consigliere -

Dott. BRUNO Maria Rosaria - Consigliere -

Dott. COSTANTINI Francesca - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.M., (OMISSIS);

avverso la sentenza della CORTE d'APPELLO di BRESCIA in data 29/04/2016;

visti gli atti;

fatta la relazione dal Cons. Dott. Gabriella CAPPELLO;

sentite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del Dott. ROMANO Giulio, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l'Avv. Fabio Federico del foro di Roma per le parti civili D.P.P. e T.M., il quale, riportandosi alla memoria depositata in cancelleria, ha chiesto il rigetto del ricorso, depositando conclusioni scritte e nota spese; l'Avv. Roberto Guareschi del foro di Cremona in difesa di P.M., il quale, riportandosi ai motivi di ricorso, ne ha chiesto l'accoglimento.

Svolgimento del processo

1. La Corte d'Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo, appellata anche dall'imputato P.M., con la quale costui era stato condannato per il reato di cui agli artt. 40 cpv., 113, 434 e 449 c.p., ha concesso al predetto il beneficio della non menzione e confermato nel resto.

In particolare, si è contestato al P., nella qualità di capo cantiere, di avere impartito e fatto eseguire l'ordine di scavo della sottomurazione di un muro in comune tra alcuni civici di una via della città di (OMISSIS), per una lunghezza di metri 5 ed una profondità di cm. 70/80, di gran lunga superiore alla lunghezza di metri 1,5, imposta dalle buone tecniche di esecuzione delle opere di sottomurazione, così provocando il crollo delle volte poste a sommità del piano terra dell'edificio (corrispondente all'appartamento abitato da B.M.).

2. Questa in sintesi la vicenda, come ricostruita nella sentenza impugnata.

Nella notte tra il (OMISSIS), i Carabinieri di Bergamo intervenivano presso la via indicata in imputazione, a causa di un crollo del pavimento dell'appartamento di proprietà B. che rovinava sul garage sottostante, di proprietà di G.P., constatando il cedimento di un muro portante posto a confine tra gli edifici contigui, ubicati ai civici 38A e 40, con conseguente crollo delle due volte in muratura che sullo stesso trovavano appoggio. L'evento aveva interessato, da un lato, l'autorimessa di cui al civico 38A, sulla quale rovinava il pavimento della casa della B., dall'altro, il confinante civico 40, il cui pavimento crollava parzialmente sull'androne sottostante.

3. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo di difensore, formulando un unico, assorbente motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge in relazione alla mancata riqualificazione del fatto nella ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 676 c.p., comma 2.

Il ricorrente censura e non condivide la valutazione dei giudici di merito in ordine alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa, contestando in particolare la connotazione, in base ad una valutazione operata necessariamente ex ante, della portata dell'accadimento, dedotta dalla circostanza che il muro crollato fosse maestro, invocata in maniera suggestiva, a fronte di risultanze fattuali che davano conto di un evento di assai più ridotte dimensioni.

Quanto alle differenze tra le due ipotesi penali, parte ricorrente, poi, precisa che esse vanno ravvisate nell'elemento materiale delle condotte, il crollo implicando la disintegrazione delle strutture essenziali della costruzione, o di parti di essa, tale da comprometterne la coesione tra i singoli elementi costitutivi, non essendo sufficiente un qualsiasi distacco di singoli elementi con caduta al suolo, essendo inoltre necessario che l'evento crollo assuma una certa vastità, da correlarsi alla diffusività del pericolo, soprattutto quando il crollo riguardi parti della costruzione, nel caso di specie essendosi realizzato soltanto il distacco al piano terreno di un setto murario di circa 5 metri di lunghezza, integralmente "rototraslato" senza disgregarsi e in assenza di condizioni di vincolo laterale del maschio collassato (richiamando, per quanto riguarda tali ultimi aspetti tecnici il parere del proprio consulente).

Infine, per il caso in cui si addivenga alla instata riqualificazione, parte ricorrente ha invocato l'eventuale ammissione al beneficio dell'oblazione ex art. 162 bis c.p..

Le parti civili T.M. e D.P.P. hanno depositato propria memoria a mezzo di difensore, concludendo per il rigetto.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La Corte territoriale ha rilevato che le indagini e l'apporto tecnico del consulente del P.M. avevano consentito di accertare alcune circostanze di fatto, alla luce delle quali ha esaminato le doglianze svolte con il gravame di merito, ampiamente riversate nel ricorso.

Più precisamente, nel corso del giudizio di primo grado, era stato accertato che presso il civico 40 (di proprietà dell'Università degli Studi di Bergamo) erano in corso lavori di ristrutturazione affidati alla impresa BELTRAMI s.p.a. e da questa subappaltati alla GREEN s.r.l.; nei giorni precedenti il crollo (a partire dal 14 novembre) erano state eseguite opere di scavo per realizzare la platea di fondazione e delle sottofondazioni; il 16 dicembre, in particolare, era stato eseguito, in corrispondenza del muro portante crollato, uno scavo di circa quattro metri per quattro (come era pure emerso dalle annotazioni contenute nel giornale dei lavori), materialmente dal dipendente GREEN s.r.l. C.O., il quale aveva dichiarato di avere proceduto in tal senso su ordine del capocantiere P. (quel giorno pure presente in cantiere), tenendosi a cm. 20 circa dal muro. Le dichiarazioni di costui erano state confermate da altro lavoratore presente quel giorno, tale R.A., dipendente della BELTRAMI s.p.a., il quale aveva caricato su un camion con una mini pala la terra scavata. Il teste, pur non ricordando precisamente se il P. fosse stato presente quel giorno, aveva affermato tuttavia che era sempre l'imputato a dare ordini e disposizioni, giorno per giorno, per l'esecuzione dei lavori.

Sulla scorta delle conclusioni dello stesso consulente, inoltre, si era accertato che il fattore determinante il crollo era stato lo scavo eseguito in un'unica volta per una lunghezza di 5/6 metri, in contrasto con le leges artis e con le stesse indicazioni del progettista, ing. O., il quale aveva indicato per le sottomurazioni, l'esecuzione a campioni progressivi di massimo 1,5 metri. A ciò il tecnico incaricato dall'accusa aveva pure aggiunto la circostanza, non imprevedibile, che nelle 48 ore successive, nelle quali lo scavo era rimasto scoperto, vi erano state abbondanti precipitazioni.

Nè tale ricostruzione era stata minata dalle tesi esposte a difesa, anche sulla scorta di un parere tecnico: la tesi difensiva (facente leva sul parere di un consulente che aveva reputato che il crollo era stato conseguenza di circostanze antecedenti lo scavo (lesioni della parete muraria)), secondo cui lo scavo di metri cinque doveva considerarsi nulla più che una concausa irrilevante del crollo, era stata infatti smentita dalle valutazioni effettuate da un tecnico che era stato incaricato - mesi prima del crollo - dalla proprietaria del garage interessato dall'evento, di esaminare alcuni rilievi fotografici per valutare se i lavori in corso avessero determinato nuove fessurazioni o se tali dissesti fossero pregressi.

Costui, nell'occorso, aveva escluso l'esistenza di dissesti pregressi o sopravvenuti, affermando che l'oscillazione di un millimetro, pur registrata nel periodo d'osservazione (durato circa tre mesi) era irrilevante, essendo necessario un maggior periodo d'osservazione ed essendo la variazione registrata del tutto esigua, atteso che solo uno scostamento di 3-4 mm. avrebbe rappresentato un campanello d'allarme. Il fenomeno, peraltro, poteva anche essere imputabile ai lavori in corso, alla presenza di mezzi pesanti ovvero a fattori climatici, pur affermando che la conformazione idrogeologica del terreno (con presenza di falde acquifere molto attive) costituiva un rischio generico.

Il pericolo concreto e specifico determinatosi, invece, era da attribuirsi all'esecuzione di uno scavo per un tratto troppo lungo che aveva causato lo scalzamento della fondazione sottostante il muro.

Da ciò era stata ricavata la sussistenza degli elementi costituitivi del reato (cioè: l'evento del crollo, sia pur parziale, di una costruzione, per il quale non è richiesta la disintegrazione delle strutture essenziali dell'edificio, ma solo una caduta violenta e improvvisa che produca un pericolo di rilevante entità; la produzione, per l'appunto, di un pericolo per la vita o l'incolumità di un numero indeterminato di persone, da valutarsi ex ante, concretizzatosi nella specie, essendo stato il danno scongiurato solo per il fatto che il crollo aveva riguardato un'area non adibita ad uso abitativo, deserta al momento del disastro; il nesso causale tra il crollo e lo scavo eseguito in spregio alle leges artis, che - al netto delle "concause" - aveva costituito il fattore eziologico principale di detto crollo).

Quanto, infine, alla riferibilità soggettiva della condotta colposa, il P., quale capo cantiere, aveva impartito l'ordine di eseguire un'operazione di scavo non conforme alle regole dell'arte dedilizia, essendo egli pure delegato, in base alle tavole del progetto, di operare la valutazione circa l'opportunità di eseguire l'eventuale sottomurazione delle murature esistenti, da realizzarsi a campioni progressivi, larghi mt. 1,5 massimo, e di vigilare sulla corretta esecuzione dell'opera.

3. La Corte territoriale ha dato conto delle censure che la difesa aveva mosso all'apparato motivazionale della sentenza appellata, con le quali sostanzialmente sono stati rassegnati al vaglio del secondo grado di merito gli stessi rilievi oggi riproposti in sede di legittimità, con i quali si è contestata la natura di crollo di una costruzione o di parte di essa e la fisionomia diffusiva dell'evento realizzatosi, reputandosi nella specie verificato solo un distacco di un setto murario di mt. 5, rototraslato senza disgregarsi, con produzione di un pericolo circoscritto alle persone che abitavano o utilizzavano i locali interessati.

Partendo dall'assunto incontrovertibile (tale alla luce delle prove raccolte ed espressamente elencate in sentenza) che il giorno prima del crollo fosse stato realizzato uno scavo sottomurario - con le caratteristiche già sopra descritte - in corrispondenza di un muro di confine tra le due strutture interessate, e che detta opera fosse stata eseguita in totale spregio delle leges artis vigenti in materia (in base alle quali, infatti, lo scavo avrebbe dovuto essere effettuato per tratti sfalsati di lunghezza non superiore ai mt. 1,5), la Corte bresciana ha osservato che, nel caso di specie, la sottomurazione, realizzata con modalità contrarie alla buona tecnica e su ordine e disposizione del capocantiere, era stata poi lasciata senza presidio nel sabato e domenica immediatamente successivi, determinando la caduta del muro portante e, per l'effetto, anche quella delle due volte poste sulla sua sommità, cosicchè non poteva revocarsi in dubbio che tra tale scorretta operazione e il crollo sussistesse il ravvisato nesso eziologico, essendo venuto a mancare (per come puntualizzato dal consulente della pubblica accusa), stante il difetto di rinforzi e puntelli di sorta, l'appoggio per una lunghezza di circa 5 metri che aveva determinato la rottura della muratura e la rototraslazione dell'intero setto al di sopra dello scavo e, quindi, il crollo delle due volte che su di esso erano impostate. Proprio la rototraslazione ha costituito, secondo il giudice d'appello, ulteriore conferma che l'operazione posta in essere il venerdì precedente il crollo era stata una vera e propria sottomurazione che doveva essere eseguita con le cautele già descritte. Nessuna efficacia causale poteva essere riconosciuta alle precedenti fessurazioni, avendo il tecnico incaricato dalla proprietaria del garage escluso che l'oscillazione registrata costituisse un campanello d'allarme, laddove la asserita filtrazione d'acqua a causa delle violenti piogge non era stata verificata e risultava, anzi, smentita alla luce di quanto dichiarato dal teste C., il quale aveva registrato, una volta terminato lo scavo, l'assenza di acqua.

Le caratteristiche del crollo, inoltre, non consentivano di ricondurre il fatto nell'alveo della previsione contravvenzionale di cui all'art. 676 c.p., comma 2, avendo esso interessato una struttura portante a confine tra due edifici contigui, connotata dalla implosione violenta e improvvisa dei pavimenti di due diversi appartamenti, nei rispettivi piani sottostanti, per puro caso deserti e, pertanto, dalla disintegrazione di un elemento essenziale (muro maestro) della costruzione che ha fatto venir meno la coesione degli elementi costruttivi e cioè proprio quella situazione di fatto idonea ad integrare gli estremi del reato colposo contestato.

Il pericolo conseguito all'accadimento, inoltre, aveva riguardato, contrariamente agli assunti difensivi, l'incolumità di un numero indeterminato di soggetti: quelli che occupavano il civico 38, il cui pavimento era letteralmente crollato, oltre ai possibili soggetti che, ad altro titolo, si fossero trovati in quel luogo; i proprietari del garage sottostante o eventuali soggetti terzi, che ben potevano trovarsi all'interno dell'immobile al momento del crollo; ma anche gli stessi operai occupati nei lavori di ristrutturazione appaltati, atteso che anche in quell'immobile si era registrato il crollo del pavimento sull'androne sottostante (fortunatamente vuoto, a causa dell'orario notturno).

Infine, sotto il profilo soggettivo, la Corte territoriale ha osservato che l'imputato, preposto a ripartire e coordinare le attività delle maestranze, ad istruire gli operai, a controllare l'evoluzione e la qualità dei lavori eseguiti, aveva ricoperto una posizione di garanzia che riguardava proprio la corretta esecuzione di quelle attività di cantiere. Sotto altro profilo, egli aveva le competenze e conoscenze per valutare i rischi derivanti da uno scavo unico, considerato altresì che le sottomurazioni costituiscono evenienza frequente e che quelle già realizzate erano state eseguite secondo la buona tecnica sopra descritta.

4. Il motivo di ricorso - finalizzato alla qualificazione del fatto come reato contravvenzionale previsto dall'art. 676 c.p., comma 2, - risulta, già sulla scorta delle suesposte argomentazioni, manifestamente infondato.

Deve, intanto, sottolinearsi che parte ricorrente ha definito la censura in termini di violazione di legge, sotto il profilo della mancata derubricazione del fatto nella fattispecie contravvenzionale di cui all'art. 676 c.p., comma 2.

Il cuore delle doglianze, tuttavia, si snoda attraverso un ragionamento con il quale si contesta la lettura del compendio probatorio da parte dei giudici nel doppio grado di merito e si evocano, in più passaggi, veri e propri vizi motivazionali, tuttavia non specificamente dedotti.

A ciò si aggiunga, quale necessaria premessa di metodo, che le doglianze attraverso le quali si articola il motivo dedotto sono ripropositive di quelle riassunte nella sentenza impugnata e, rispetto ad essa, prive del necessario confronto con il percorso argomentativo seguito dal giudice d'appello e da quello di primo grado.

Cosicchè, si rende necessario chiarire innanzitutto la natura del sindacato di legittimità, con riferimento alla quale può dirsi definitivamente acquisito che le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile, al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei, rispetto a quelli utilizzati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico - giuridici della decisione, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entità (Cass. pen., Sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993 Ud. (dep. 04/02/1994), Rv. 197250; Sez. 3 n. 13926 dell'01/12/2011 Ud. (dep. 12/04/2012), Rv. 252615). Inoltre, deve pure ribadirsi in questa sede che la funzione tipica dell'impugnazione è quella di una critica argomentata al provvedimento che si realizza, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), attraverso la presentazione di motivi che devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Pertanto, il contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione è indefettibilmente il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (cfr., in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013 Ud. (dep. 21/02/2013), Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016 Cc. (dep. 22/02/2017), Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d'appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).

5. Nel caso in esame, il giudice d'appello ha indicato, con una motivazione assai analitica, in un'ottica di aperto confronto con le tesi difensive, le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la qualificazione giuridica dei fatti ritenuta dall'accusa, prima, e dal Tribunale, dopo. Ha, a tal fine, espressamente richiamato elementi fattuali granitici e, a tratti, di portata probatoria auto-evidente, peraltro neppure contestati nella loro storicità, e, in ogni caso, del tutto obliterati nello svolgimento delle argomentazioni difensive, con le quali, in definitiva, la parte non fa che riproporre una sua diversa valutazione delle prove, sollecitando a questa Corte uno scrutinio che assegni ad essa maggior pregio e dignità.

5.1. Orbene, quanto alla ipotizzata violazione di legge, la Corte d'appello ha dato conto degli elementi costitutivi del reato contestato, in maniera coerente ai parametri legali e a principi di diritto ricavabili dalla giurisprudenza di questa Corte.

Sul punto, questo collegio intende ribadire quanto già affermato da questa stessa sezione a proposito dell'integrazione del reato di cui agli artt. 434 e 449 c.p.: per crollo di costruzione, totale o parziale, deve intendersi la caduta violenta ed improvvisa della stessa accompagnata dal pericolo della produzione di un danno notevole alle persone, senza che sia necessaria la disintegrazione delle strutture essenziali dell'edificio (cfr. sez. 4 n. 2390 del 13/12/2011 Ud. (dep. 20/01/2012), Rv. 251749 (in fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto la sussistenza del reato in presenza del distacco completo, su una linea lunga circa 150 metri, del rivestimento di mattoni che rivestiva la parete esterna di un edificio scolastico)).

L'art. 434 c.p.,. comma 1, fa riferimento al crollo di una costruzione o di parte di essa, utilizzando un termine, il cui significato è, per l'appunto, quello di caduta violenta ed improvvisa, senza che sia necessariamente richiesta anche la disintegrazione delle strutture essenziali, poichè, come efficacemente osservato nel precedente sopra richiamato, la norma "nel prevedere espressamente la possibilità che il crollo interessi una parte della costruzione... sembra confermare che si può prescindere da un tale requisito".

Quanto al profilo riguardante il pericolo, per la sussistenza del delitto di disastro colposo previsto dagli artt. 434 e 449 c.p., è necessario che il crollo della costruzione abbia assunto la fisionomia di un disastro, cioè di un avvenimento di tale gravità e complessità da porre in concreto pericolo la vita e l'incolumità delle persone, indeterminatamente considerate, dal momento che il pericolo da esso cagionato deve essere caratterizzato dalla potenzialità di diffondersi ampiamente nello spazio circostante la zona interessata dall'evento, sicchè il solo elemento oggettivo del crollo, diversamente da quanto previsto per la contravvenzione di cui all'art. 676 c.p., comma 2, non è sufficiente per la configurabilità del delitto in questione.

Tale situazione di pericolo, tuttavia, va valutata ex ante, in base ad un giudizio di probabilità circa l'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero indeterminato di persone, cosicchè l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (c.d. pericolo comune) deve essere accertata in concreto (cfr., sez. 4 n. 2390 del 2012, citata (in cui si era verificato il distacco completo del rivestimento di mattoni che tamponava la parete esterna di una facciata di un edificio scolastico, interessando l'area antistante per circa 150 mt, normalmente frequentata dagli alunni della scuola durante gli intervalli delle lezioni); ma anche, n. 19342 del 20/02/2007, Rv. 236410 (in cui si è precisato che per la sussistenza del pericolo è richiesta solo la prova che dal fatto derivi un pericolo per l'incolumità pubblica, ma non necessariamente quella che ne derivi un danno)).

Anche nella ipotesi di cui al preecedente citato, valutati le proporzioni del crollo e il pericolo per la pubblica incolumità che ne era derivato, si era confermata la qualificazione giuridica del fatto nel reato di crollo colposo, avendo la Corte di legittimità ritenuto che la grave pericolosità non potesse escludersi per il sol fatto che il crollo non aveva provocato, per una coincidenza favorevole, proprio come nel caso all'esame, un danno alle persone, essendo accaduto di sabato a scuola chiusa, rilevando unicamente la probabilità della produzione di un danno notevole alle persone (cfr. in motivazione sez. 4 n. 2390 del 2012 citata).

Pertanto, se può dirsi pacifico, ai fini della distinzione della fattispecie all'esame con l'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 676 c.p., comma 2, secondo un indirizzo consolidato di questa Corte, che il crollo di cui al reato p. e p. dall'art. 434 c.p., comma 2 e art. 449 c.p., deve avere i connotati del disastro (cfr. sez. 4 n. 18977 del 09/03/2009, Rv. 244043; 18432 dell'01/04/2014 Ud. (dep. 04/05/2015), Rv. 263886), è tuttavia opportuno precisare, per il chiaro equivoco che sta alla base delle doglianze difensive, cosa debba intendersi per disastro. Trattasi di un avvenimento di tale gravità da porre in concreto pericolo la vita delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante. Perchè possa invece parlarsi di semplice rovina di edifici, non è necessaria una tale diffusività e non si richiede che dal crollo derivi un pericolo per un numero indeterminato di persone (cfr. sez. 4 n. 18432 del 2015 sopra richiamata), le due fattispecie differendo, sia soggettivamente, ma anche in relazione all'elemento materiale, un avvenimento cioè grave e complesso nell'un caso, la semplice rovina nell'altro (cfr. sez. 4 n. 9553 del 05/02/1991, Rv. 188197).

In altri termini, per la sussistenza del delitto di cui agli artt. 449 e 434 c.p., è necessario che il crollo della costruzione abbia assunto proporzioni notevoli non limitate ad un qualsiasi distacco con conseguente caduta al suolo di singoli elementi costruttivi - e tali da mettere in pericolo una cerchia indeterminata di persone (cfr. sez. 4 n. 11771 del 09/10/1997, Rv. 210152 (in fattispecie, in cui il crollo aveva interessato un'ampia porzione delle facciate tergali di due fabbricati e di settori di vari solai ai piani, con lesioni di altri edifici ed instabilità della stessa piazza)).

Il discrimine, pertanto, va rinvenuto nella presenza - nella fattispecie delittuosa - di un pericolo per la pubblica incolumità, derivante dal diffondersi del crollo della costruzione (o di parte di essa) nello spazio circostante (cfr. sez. 1 n. 47475 del 29/10/2003, Rv. 226459), dalla potenza espansiva, cioè, del nocumento unitamente alla sua attitudine ad esporre al pericolo un numero indeterminato di persone, per la configurabilità del quale, è necessario un evento straordinariamente grave e complesso, ma non eccezionalmente immane (cfr. sez. 3 n. 9418 del 16/01/2008, Rv. 239160), vale a dire un accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sè una rilevante possibilità di danno alla vita o all'incolumità di numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile (sez. 4 n. 15444 del 18/01/2012, Rv. 253500).

5.2. Nel caso all'esame, la Corte bresciana ha formulato un apprezzamento di merito circa i connotati di dirompenza e diffusività dell'accadimento che rientrano nel paradigma legale e risultano parimenti coerenti con i principi teste richiamati.

Ciò ha fatto, nel caso in cui si ritengano esistenti e correttamente proposte censure al ragionamento probatorio svolto, in maniera del tutto congrua, non manifestamente illogica e non contraddittoria, essendo inibita a questo giudice, per quanto sopra già chiarito, ogni rilettura del quadro fattuale emerso in giudizio che dia risposte conformi alla tesi difensiva.

6. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, l'inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000,00 alla cassa delle ammende non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000), nonchè alla rifusione di quelle sostenute dalle costituite parti civili D.P. e T.M. che si liquidano in Euro 2.304,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende; lo condanna inoltre a rimborsare alle parti civili D.P.P. e T.M. le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi Euro 2.304,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2017


Avv. Francesco Botta

Rimani aggiornato, seguici su Facebook